La Serra della Terratta

Su una delle creste più lunghe del parco

Alla conquista dell’Intera Montagna Grande mancavano le due Serre del Carapale, anonime tondeggianti montagne sopra Scanno. Con Diego l’anno prima era stato impossibile infilarle, forse più per ingenuità delle scelte strategiche che per obiettiva difficoltà del percorso. L’occasione si è manifestata con il desiderio di Luca di seguirmi in montagna. Avevo parlato delle fantastica sorgente del Terratta che avevo incontrato l’anno prima, a sorpresa lungo il percorso, avevo mostrato qualche foto per farlo sognare e il progetto di accompagnarlo nella ripida gola si concretizza con il secondo week end di Maggio. Luca avrebbe avuto la sua sorgente ed io avrei chiuso il conto con la Montagna Grande. Mancava Giorgio all’appello , come in quasi tutte le precedenti occasioni di questo stranissimo anno, ma è bastata una telefonata per inculcagli il desiderio di esserci. Così, alle 4 e mezza di sabato 15 Maggio ero sotto casa sua per prenderlo; Luca smanioso e puntualissimo era lì pochi minuti dopo. Alle 6,25 partivamo alla conquista delle Serre; il cielo era sereno a confermare le previsioni atmosferiche che davano rischio di temporali solo per le ore pomeridiane. Conoscendo il percorso i primi passi sono stati veloci e in poco tempo ci siamo ritrovati nella magia della forra boscosa verso il Terratta. Come mi aspettavo il letto del fiume era asciutto ma ciò non disturbava la meraviglia del posto che affascinava da subito sia Luca che Giorgio. Procedendo spediti , già a quota 1300 i primi segni dello scorrere dell’acqua si facevano sentire ancora prima di vedere. Il carsismo era un fenomeno evidentemente molto presente in zona. Ma pochi passi ancora e la magia dei giochi dell’acqua si mostravano in tutta la loro allegria. La forra si allargava e le pareti delle montagne si mostravano alte e lontane nel fitto del bosco; la luce sotto la cupola degli alberi era ancora debole ma alzando lo sguardo verso l’alto il verde tenue della nuova vegetazione dava all’ambiente una freschezza leggera e inconsistente come solo nel bosco del Tarino ricordo di aver incontrato. Forse sono le magie che solo i boschi, tutti i boschi del periodo primaverile riescono a comunicare. Ben presto il sentiero si distacca dal coso d’acqua, comincia a salire per ripidi tornanti; soprattutto Luca, ma anche Giorgio sono smaniosi di conoscere la tanto ormai famosa sorgente. Saliamo ansimando e il rumore crescente dello scroscio d’acqua mi dice che la prima meta è ormai prossima. Non comunico l’imminenza del traguardo e lascio che sia lo stupore a vincere sulla curiosità. Sia Luca che Giorgio si gettano verso la bocca della sorgente; come due bambini scrutano la buia gola che proviene dalla montagna e sorridono alla scrosciante cascata che scorre su un morbido letto di muschio. E’ la Sorgente del Terratta. Conosco il loro stupore perché è stato il mio di un anno indietro. Ci fermiamo presso la sorgente per riposarci e solo in quel momento scopriamo che siamo a quota 1530, un salto di 500 metri di dislivello in poco più di un’ora. Un ritmo infernale che spiega la stanchezza che proviamo. Solo Luca è fresco e pimpante; mi ricorda tanto i miei primi entusiasmi quando prendevo le mie prime conquiste. Ripartiamo dopo una lunga sosta e il sentiero si fa subito ancora più ripido. Davanti a noi mete importanti ci aprono le ali; per Luca sta arrivando il suo primo 2000 ma soprattutto per Giorgio sta arrivando il 100° 2000. Fuori dal bosco in un’ora si continua in pendenza costante e saliamo per un sentiero tracciato ma sconnesso tra le ultime nevi e un rimasuglio di bosco intricato; un sentiero dalla parte opposta di quello che avevo utilizzato la volta precedente. La neve inconsistente e quel tratto ripido da affrontare con i ramponi (che non avevamo) giustificavano la scelta. Una cresta ampia e rocciosa ci porta sul costone da cui si domina il lago di Scanno; siamo già a quota 2060; sotto di noi la gola appena percorsa che sbocca sullo scuro lago; davanti a noi invece i ripidi costoni del Genzana e mi ritornano in mente le fatiche di Febbraio. Poi le scelte: la sella che ci divideva dalle Serre di Carapale e la salita brecciosa verso le cime mai conquistate o la costa verso il Terratta. Io avevo concepito il percorso e Giorgio non si è opposto alla scelta. Puntiamo verso le Serre anche se in cuor suo sperava in quote più blasonate per festeggiare il suo traguardo. Scendiamo per agili pratoni e subito dopo saliamo i contrafforti sassosi della prima Serra. Luca accende il turbo e con l’evidente traguardo davanti ci distanzia non poco. Esulta una volta in vetta e ha ragione; è una vera forza nel progredire in salita, è la sua prima vetta ufficiale sopra i 2000 e davanti gli si spalanca un paesaggio montano ancora tutto innevato. Il gruppo del Marsicano, il Greco e più lontano confuso nella foschia il Petroso e i contrafforti delle Mainarde. E’ la sua prima montagna; uno spettacolo per noi, una emozione da lasciarlo senza fiato per lui. Rivivo in lui i miei primi sorprendenti entusiasmi. Intorno alle 10,30 prima io e poi Giorgio arriviamo a ruota! Ammiriamo ciò che ci si spalanca davanti consci che sarà per noi uno dei prossimi immediati futuri teatri di camminata. Ma l’obiettivo ormai di tutti e non solo di Giorgio è lì a fianco a noi, la seconda Serra. Una discesa modesta fino alla sella e una salita sassosa per ampia e comoda cresta e poi è quota 100 nel personale palmares di Giorgio. Le fatiche fin lì espresse svaniscono, in salita dopo la sella inchioda letteralmente me e Luca e vola verso la sua personalissima conquista. Vola Giorgio, ha le ali ai piedi e poi alza le braccia e si libera in un urlo prolungato dalle sue attese e dalle sue ultime gabbie. Sono le 11,15. Bravo Giorgio, varrà poco o niente ma noi sappiamo quanta ricerca, quanti progetti e quanti sogni e quante fatiche ci sono dietro questo traguardo. Lo raggiungo da li a poco e ci veniamo incontro abbandonandoci in un abbraccio liberatorio. Il gesto da restituire e la celebrazione del momento sta in un brindisi in quota. Ci immortaliamo tenendoci per mano e braccia al cielo con due bottiglie di Prosecco nelle solidale felicità del momento. Festeggiamo sotto un sole caldo in completa assenza di vento. Un momento davvero sereno. Le nuvole lontane ci intimoriscono ma ci danno anche speranza per il giro che dobbiamo ancora completare. Guardiamo il lontano Terratta, i tanti sali e scendi per le tante vette secondarie di questa Montagna Grande. Luca è stupito da come riesco a prevedere i tempi di percorrenza da lui sistematicamente sovrastimati. Lo, anzi, li rassicuro sulla fattibilità del giro e riprendiamo indietro le due Serre per raggiungere il primo dei tanti ometti sparpagliati sulle tante cime senza nome e anonime quote sulle carte. Siamo già in una mezz’ora sulla cresta principale della Montagna Grande. Senza indugiare prendiamo a Nord e dopo un paio di docili mammelloni nemmeno troppo faticosi raggiungiamo alle 12,10 il grande ometto della vetta del Terratta. E’ il punto più alto del percorso. Davanti a noi un susseguirsi di saliscendi, i più, modesti e docili ma che si perdono nelle distanze poco intuibili dei grandi spazi. Dopo le solite foto per segnare il momento e rimandarlo ai ricordi discutiamo su quale delle tonde elevazioni davanti a noi sia l’Argatone. Prendiamo decisi verso le gibbosità della cresta; una , due e tre pensando di essere sull’Argatone. Ma prima faccio i conti con la mia memoria e poi con la sorpresa. L’Argatone è la dietro, ancora a considerevole distanza. Nulla in confronto alla nostra esperienza e capacità ma tanto da spaventarci per le condizioni di stanchezza avanzata in cui ci trovavamo. C’ero già stato ma la memoria si confondeva di fronte a tante cime tutte molto simili tra loro. Ricordavo solo tanta tanta fatica nel raggiungere l’Argatone e la sua posizione ora visibile e che non giocava più a nascondersi con l’omogeneità della cresta spiegava l’antica sensazione. Eravamo abbastanza provati; io e Giorgio, non Luca che sembrava appena partito. Non volevo spingere Giorgio alla missione impossibile ma non volevo prendesse il mio poco interesse come una mancanza di partecipazione per una vetta già conquistata. Ho stillato in Giorgio l’opportunità di cavalcare l’Argatone e che la stessa non si sarebbe più ripetuta; era solo una questione di combattere la stanchezza per la differenza minima di tre chilometri andata e ritorno. Non ho dovuto faticare molto. Pregandoci di non seguirlo se non ci fosse andata Giorgio è partito come un razzo e con una determinazione di altri tempi. Luca rinvigorito dal gioco che continuava non ci ha pensato su nemmeno un secondo. Li ho seguiti con un ritmo più blando certo che li avrei ripresi per strada. Così è stato per Giorgio ma non per Luca che ha affrontato le due o tre gobbe e la salita all’Argatone, forse la più consistente dell’intero percorso o forse sembrata più ripida perché semplicemente quella che è caduta in un momento particolare di stanchezza, come se avesse da sempre un conto aperto con la stessa. Intorno alle 13,30 era in vetta trionfante e felice. Noi dietro di una decina di minuti. In vetta nel frattempo avevano posto una croce che due anni prima non c’era. Vista la pressapochezza dettata dai paletti per i recinti usati per comporre la croce era meglio che la vetta fosse rimasta vergine. Era la quarta vetta della giornata; stanchi ma euforici per aver portato a termine l’ambizioso progetto abbiamo consumato e immortalato la nostra spossatezza nelle foto di rito. Mancava all’appello solo l’Anticima Nord dell’Argatone. Un’altra discesa, una sella e una salita uguale alle precedenti ma vista l’ora, la stanchezza accumulata e un lungo ritorno da preventivare, Giorgio questa volta non aveva dubbi. Si riprendeva per il ritorno. Per la stessa cresta percorsa si torna indietro. Conduco la marcia cercando di tagliare le montagne e tenere una linea il più possibile omogenea e senza strappi. Luca mi segue, Giorgio un po’ più lento è dietro. Aggiriamo anche la vetta del Terratta e poco sotto, al riparo dal vento decidiamo di concederci l’ultima sosta prima di tuffarci verso la discesa e quindi verso il bosco. La sosta, su un terreno erboso e soffice, al riparo dal vento e con una temperatura ideale si è trasformata presto in una pennichella clamorosa. Quindici minuti di abbandono totale e profondo. Solo una nuvola che ha nascosto il sole e che ci ha fatto percepire il freddo dell’aria è stata capace di destarci; e riprendere il cammino non è stato facile. Giù per una conca nevosa raggiungiamo il limite del bosco. Qualche problema a ritrovare tracce di sentiero e ben presto siamo dentro il bosco. Luca e Giorgio volano in discesa. Giorgio addirittura si è portato le scarpe ginniche per scendere più agevolmente. Ma la loro corsa era dovuta al ricordo della rigogliosa fonte incontrata in salita. Avevano terminato le scorte di acqua e il premio del copioso getto che avrebbe riempito le bottiglie bastava a far passare in secondo piano ogni fatica. Li perdo lungo il sentiero tanto marciavano veloci e li riprendo solo sotto la fonte intenti ad una affannosa quanto pericolosa fredda bevuta. Faccio caso solo allora alla quota. Avremo percorso un dislivello di circa 600 metri in poco più di un’ora e mezza!! Riempio anche io le mie borracce e mi godo il fresco di quell’acqua che sgorga direttamente dalla montagna. Pacati nella sete riprendiamo a godere del bosco e dei colori. Da li in poi ci terrà di nuovo compagnia il rumoroso ruscello. La discesa è veloce, orchidee e fiori di ogni colore ci sfilano accanto; presto l’acqua del ruscello si perde nei sassi del terreno e capiamo che manca ormai poco all’arrivo. L’ultimo strappo in salita per uscire dalla forra taglia definitivamente le gambe a me e a Giorgio ma non a Luca che si conferma una vera sorpresa. Arriviamo alla macchina alle 16,45 dopo 11 ore di cammino, quasi 1300 metri di dislivello totale e 19 chilometri percorsi. Da rimanere di stucco se si guarda al progetto originale della giornata. Durante il ritorno la fatica si fa sentire e forse, insieme all’appagamento di aver raggiunto l’obiettivo della quota 100, Giorgio si spinge a manifestare l’intenzione di voler cambiare filosofia dell’andare in montagna. D’ora in poi non più l’impresa e il numero di vette sarà a guidarci ma il modo di vivere la montagna. Mi sono sentito in sintonia con lui. Forse ero davvero stravolto anche io!! Comunque la giornata ha avuto molte note positive. La prima è stata che nonostante i rischi e le cassandre non è caduta nemmeno un goccia d’acqua e dei temporali paventati non si è nemmeno avvertito il pericolo; la seconda è stata la conquista finalmente da parte di Giorgio della fatidica quota 100, cosa che ci permette, ora, di guardare alla montagna forse in maniera meno agonistica e la terza che il gruppo Aria Sottile ha trovato un altro valido membro a cui manca solo esperienza ma che ha una forza e una costanza incredibile . Queste erano le conclusioni che ricordo della giornata. Oggi , momento in cui scrivo, a quindici giorni dall’evento mi trovo ad organizzare l’attraversata del Marsicano con Forcone, Ninna, Monte della Corte, Calanga e Anticima connessi. Bello no?!!!!!!